RAOUL VANEIGEM
Ritorno alla base.
Tesi e osservazioni sugli obiettivi della lotta in Francia
Come risposta a una lettera proveniente dal Cile, dove la nuova coscienza sociale emergente ha dovuto, come dovunque, fare i conti con la pandemia virale aggiuntasi alla peste emozionale imperante, Raoul Vaneigem ha elaborato questo sintetico scritto per dare risposta ai molti interrogativi sorti o già esistenti.
Considerando il testo in questione tanto attuale che importante, ve ne propongo la traduzione insieme a quella dello scambio epistolare che lo ha provocato.
Sergio Ghirardi, 26 dicembre 2020
1. Lettera dal Cile
A proposito del Cile di questi giorni, mi sembra che il terrorismo sanitario e la farsa elettorale abbiano finito per schiacciare la forza insurrezionale creatrice che ci aveva risvegliato tutti grazie alle giovani generazioni. Tutte le ragioni che hanno motivato questo sollevamento sono sempre presenti e mi pare addirittura che le condizioni esistenziali di tutti si siano degradate, ma il grande rifiuto collettivo di qualche mese fa (No all’impoverimento giunto all’insopportabile! No alla competizione spietata tra fratelli e sorelle, no a un’esistenza in cui siamo unicamente delle semplici macchine da consumo e da lavoro, ecc.) non è riuscito ad avanzare nella creazione di nuove forme di vita. Al contrario, questa lotta che faceva rivivere l’essenza umana in ciascuno di noi si è fissata in una specie di simulazione.
Ci sono ancora delle manifestazioni sulla Plaza de la Dignidad (e in altre piazze e luoghi del Cile) ma non c’è più la gente e la freschezza di prima. Vedo che una gran parte del popolo spreca la sua energia vitale, da un lato in un assurdo confronto con la polizia, e dall’altro nell’instaurare un dialogo di sordi con il potere. I primi offrono il loro corpo come materia prima alla macchina repressiva e nutrono così il rituale che permette ai poliziotti di affermarsi nel loro ruolo d’invincibili soggiogatori. I secondi, credendo di andare nel senso del cambiamento, sono vampirizzati dal cadavere della politica e nutrono il rituale di alienazione sul quale si fonda la normalità capitalista. In breve, la forza insurrezionale creatrice resta spenta perché la lotta per la vita, anziché manifestarsi sul proprio territorio, creandola, continua a svilupparsi sul terreno del capitale, senza aver operato nessun salto qualitativo, nessuna rottura con l’ordine della miseria.
Come usciremo da questo vicolo cieco? Non durerà mica ancora trent’anni? Che cosa provocherà la diffusione di un sentimento d’infamia di fronte all’aggravarsi delle contraddizioni (fatto che sembra già in corso qui)? Il “trionfo elettorale” che doveva annunciare la fine dell’eredità di Pinochet, sta trasformandosi in un incubo e in un labirinto burocratico che esclude le aspirazioni e le possibilità reali di partecipazione della maggioranza che ha votato per il cambiamento della Costituzione, riaffermando il potere del vecchio mondo. I giovani prigionieri della rivolta sono accusati senza prove e condannati a parecchi anni di prigione, mentre gli imprenditori cileni sono condannati a seguire dei corsi di etica (per truffa e furto a viso scoperto di milioni di persone, ecc.). Come provocare l’uscita del vicolo cieco?
(…) Per molti aspetti, la normalità capitalista ha recuperato parecchio terreno. L’insofferenza sociale cresce ma non sembra sfuggire al rituale del confronto diretto in piazza. Riuscirà questo confronto, nei territori nei quali abitiamo, a risolvere i nostri problemi di prima necessità o resteremo sul terreno simbolico, dove il potere gestisce le nostre rabbie represse? Fino a oggi le proteste continuano ma si trasformano in un sanguinario spettacolo di mutilazione di massa, completamente integrato dalla nuova politica pubblica di amministrazione delle popolazioni “eccedenti”. Fondamentalmente, la città diventa quel che ricordano che fu: un luogo inospitale, violento, popolato da individui ostili.
Il venir meno dell’insurrezione mi ha lasciato molto triste e delusa per molto tempo. Mi facevano soffrire tutti i morti, i mutilati, i reclusi, tutta la potenza ridotta a niente. Poco a poco, però, ho affinato in me il suo momento di verità; quel che questa esperienza mi ha insegnato nella carne e la sua memoria si sono trasformati in invito e in appello. Benché io non sappia veramente che cosa ci porterà fuori da questo vicolo cieco, so che non sto più aspettando la rivoluzione sociale per affermare, qui e ora, una nuova forma di essere il cui polo magnetico sia la vita, la mia vita. Ciò sembrerà forse un po’ egoista, ma so che tu capisci quel che intendo dire, tu lo hai detto: “imparare a vivere non significa imparare a sopravvivere”.
Che mondo sarebbe il nostro se ognuno decidesse di essere quello che è e non quello che gli altri vogliono che sia? E se si potesse mettere al centro della propria esistenza il bisogno del proprio essere essenziale anziché le esigenze della comunità astratta del denaro? Penso che se mai ci sarà una rivoluzione che metta fine al modo di distruzione del capitale, affermando la vita della comunità umana, essa non potrà scaturire da una lotta sacrificale, ma piuttosto dal contagio della gioia di esistere oltre tutte le identificazioni che ci oppongono e ci separano da noi stessi e dal tutto.
Dimmi le tue impressioni su quel che accade in Francia e nel mondo.
2. Risposta di Raoul Vaneigem
(…) Ti ringrazio per il messaggio. Restituisce con chiarezza una situazione molto simile a quella francese. Un amico ha tradotto la tua analisi in francese e la comunicherò agli insorti che non “disarmano”. Per rispondere alla tua richiesta mi è sembrato pertinente formulare una serie di tesi sullo stato dei luoghi e del tempo. Le troverai in allegato (le farò forse pubblicare in un piccolo pamphlet perché temo un’offensiva della censura sul Net).
Persisto a pensare che un grande risveglio della coscienza farà uscire dal loro torpore, presto o tardi, quelle e quelli che dormono sul grande possibile. (…)
RITORNO ALLA BASE
Tesi e osservazioni sugli obiettivi della lotta in Francia
1.
L’autodifesa della donna sta al cuore dell’emancipazione individuale e sociale
Sbarazzata dal femminismo statale e autoritario, la volontà di sradicare il comportamento patriarcale è il mezzo più sicuro per farla finita con la paura e il disprezzo della natura e della vita.
2.
Contro i rigurgiti del patriarcato
Religioso o laico, di sinistra o di destra, il comportamento patriarcale è la colonna portante della società gerarchizzata. Per abbatterlo bisogna abolire il regno dei capi senza distinzione di sesso.
3.
Contro l’ecologia ideologica
Lo stupro e la violenza sono inerenti a un’economia fondata sullo sfruttamento della natura. Dal suo saccheggio che ha inaugurato il regno della merce, ha preso data la disgrazia della donna. L’ecologia resterà un’ideologia di mercato finché la lotta della donna per la sua autonomia non implicherà una nuova alleanza con l’universo della vita.
4.
Contro la manipolazione della paura
Il timore suscitato dall’apparizione di un virus, nello stesso tempo insolito e prevedibile, è stato deliberatamente amplificato dal potere a fini ormai evidenti:
a) Tentare di dissimulare lo stato disastroso delle strutture sanitarie, diventate imprese a fini di lucro.
b) Esercitare su scala planetaria un confinamento delle popolazioni che nessun regime totalitario era riuscito a imporre. La libertà, già ridotta a quella di lavorare (arbeit macht frei) e di consumare, è oggi invitata a un duello fittizio in cui la millanteria dei negatori del virus sfida l’isteria di quanti, in preda al panico, ne esagerano gli effetti.
c) Stimolare lo sviluppo del mercato della sicurezza. Alimentando i fondi di commercio del populismo di stampo fascista (razzismo, sessismo, paura dell’altro), ciò è utile anche a una sinistra troppo contenta di dover combattere sul fronte delle ideologie piuttosto che su quello sociale in cui si è discreditata.
d) Il terrore in cui ciascuno s’isola gioca in favore della principale preoccupazione dei governanti: durare il più a lungo possibile, a costo di marcire sul posto.
5.
Contro l’impoverimento della vita
“Godete oggi perché domani sarà peggiore” è stato lo slogan consumistico più efficace del capitalismo. Ormai non può più usarlo perché ci mette di fronte a un fatto compiuto. Decreta “il peggio è arrivato, fatevene una ragione”. Il modello cinese è pronto, in attesa di tecnologie sempre più efficaci. Il prossimo rimedio all’impoverimento – a parte la soppressione degli inutili – sarà la tazza di riso e il transumanismo.
6.
Contro il ritorno del puritanesimo
La necessità di lavorare proscrive il godimento di sé e del mondo. Questo divieto è stato eretto in dogma dal patriarcato. Tuttavia, stimolando il mercato dei piaceri consumabili, il consumismo gli ha inferto dei colpi mortali. L’impoverimento che minaccia la corsa al consumo provoca il ritorno del puritanesimo nella sua forma particolarmente viziosa: la paura e il disprezzo della vita. Il confinamento uccide facendo morire le relazioni affettive. Non sentite risuonare con un rumore di catene quelle grida di veglia funebre: “Finito di ridere! Finito di godere! Finito di vivere!”?
7.
Contro la reificazione o trasformazione in cosa
Il capitalismo non vede nella vita che un oggetto mercantile. Non tollera che essa sfugga all’onnipotenza del denaro. La macchina del profitto mostra che con il pretesto di un virus di passaggio è stata capace di scatenare una vera peste emozionale. Un panico isterico ha spinto milioni d’individui a rintanarsi in un angolo dove la disperazione e la morbosità finivano di rovinarli, di disumanizzarli.
8.
Contro il sacrificio
Il consumismo aveva fondato il suo potere di seduzione sul mito dell’abbondanza paradisiaca. Il “tutto alla portata di tutti” prestava un effimero fascino a quelle libertà da supermercato che prendono fine alla cassa. Il salario difficilmente guadagnato trovava la sua ricompensa in un lasciar-correre che aveva le virtù di uno sfogo. Con l’impoverimento che svuota “la borsa della spesa della casalinga” l’esortazione a sacrificarsi risale in superficie come il peccato originale che si credeva sepolto nel passato. Bisogna accettare la Caduta, bisogna ammettere che la vita rinsecchisce. È giunto il tempo di ricordare che non si lavora mai abbastanza, non ci si sacrifica mai abbastanza. L’esistenza non lucrativa è un delitto. Vivere è un crimine da espiare. L’allontanamento, il ripiegamento su un sentimento d’insicurezza, la paura dell’altro, istaurano una pratica della delazione, un culto della verecondia, un aumento di violenze, un’avanzata dell’oscurantismo (senza andare fino a bruciare i libri, il governo francese li bolla come non essenziali).
9.
Contro il mercato del macello sanitario e dell’insicurezza
a) In Francia, la gestione politica delle cure mediche ha premeditato l’assassinio seriale delle prime vittime dell’impoverimento: i pensionati, i vecchi, gli sprovvisti d’efficacia lucrativa. La Repubblica dei benestanti ha fatto pesare la mano fredda del denaro sulla repubblica della gente umile. Ha agito e continua ad agire sotto l’influenza di un’economia per la quale il profitto immediato conta più della salute di un popolo. Non commettiamo errori in proposito: essa annuncia senza cerimonie la soluzione finale che la tirannia mondialista riserva ai popoli decisi a rovinare l’arricchimento dei ricchi.
b) La sicurezza, garantita per contratto sociale ai cittadini, ha lasciato il posto a un’ideologia della sicurezza che accresce e moltiplica i pericoli, l’aggressività, gli atti di follia. La polizia e la magistratura, la cui funzione ufficiale è di premunirci da violentatori, assassini, avvelenatori e inquinatori, sono diventate la sbirraglia di tutta questa marmaglia a causa delle tendenze di stampo fascista che lo Stato incoraggia nel loro seno. La strategia del capro espiatorio – che colpisce indifferentemente Gilet jaunes, emigrati, manifestanti ecologisti, musulmani e incendiari di spazzatura – colpisce a loro volta i professionisti dell’ordine pubblico al grido di “tutti detestano la polizia”. La manipolazione ha lo scopo di sviare la nostra attenzione dalla libertà di nuocere concessa a quelli che devastano impunemente il pianeta e vengono “fin nelle nostre case” a violare la nostra libertà di vivere.
10.
Contro il progresso tecnologico che disumanizza L’intrusione di un virus ha svelato il cinismo dei gruppi di pressione farmaceutici e medici. Si sono visti meno preoccupati di curare gli umani che d’incassare i benefici di una morbosità di cui la stampa oligarchica e i suoi contatori di morte trafficata amplificavano l’inquietudine. La logica economica conferma così l’impostura di un progresso tecnologico che per giustificare le sue menzogne di oggi, richiama alla memoria le verità di ieri. Nessuno contesta l’utilità originaria degli antibiotici, dei vaccini contro la tubercolosi, della poliomielite, del tetano ma quale fiducia accordare a lobby che gettano sul mercato vecchie medicine vendute con nomi inediti? Come fidarsi di vaccini sperimentali inoculati a gente sana come l’estrema unzione a un agonizzante? Come tollerare inoltre che gli organi di potere calunnino e perseguano penalmente i medici che denunciano le loro malversazioni? Quando si riesumerà il buon vecchio metodo di Stalin per liquidare i medici complottisti?
11.
Per una reinvenzione permanente
“Non sapevano che era impossibile, dunque l’hanno fatto”. Questo proposito di Mark Twain aumenta ogni giorno in pertinenza nella misura in cui si moltiplicano, decrescono e rinascono le insurrezioni planetarie. Ognuno se ne accorge: i conflitti ideologici sono delle esche. La vera lotta è dovunque gli abitanti di un villaggio o di un quartiere urbano rifiutano i pesticidi e le nocività, rinnovano l’insegnamento, restaurano le strutture ospedaliere, affrontano il problema della mobilità, salvano i commerci locali, studiano il passaggio dell’agroalimentare a un’agricoltura rigenerata, aprono dei centri di raccolta per quanti subiscono quotidianamente un’oppressione burocratica, economica, familiare, sessista o razzista.
12.
Per un’autodifesa sanitaria
Le misure coercitive e incoerenti di cui siamo vittime derivano dalle malversazioni di bilancio che hanno rovinato e rovinano le strutture ospedaliere. Tutti coloro che agiscono sul terreno non hanno nessun bisogno di complottismo e di anticomplottismo per denunciare i discorsi che ci allontanano dalla realtà vivente. Tuttavia, vituperare la menzogna delle alte sfere, non fa retrocedere neppure di un passo la politica di riduzione drastica di bilancio. Non è forse impantanarsi nella vittimizzazione non dare la priorità, qui e ora, al benessere individuale e sociale, il non spezzare la tirannia del profitto, causa principale del malessere e dei disturbi che ne conseguono? Lo Stato fa prevalere sull’efficacia dei medici territoriali, in contatto diretto con i loro malati, gli interessi delle industrie farmaceutiche multinazionali che stipendiano i maggiordomi politici. Il semplice buon senso prescrive di restaurare il rapporto consensuale tra pazienti e personale curante, vuoi d’incoraggiare un’automedicazione se non curativa, almeno preventiva.
a) L’esame del virus in voga ci ha insegnato che la sua intensità variava da una regione all’altra. Trattarlo sul piano nazionale e mondiale è una sciocchezza. Tocca alle assemblee cittadine decretare l’autodifesa sanitaria. Agire sul terreno dove pazienti e medici coabitano, si conoscono, hanno rapporti di fiducia, risveglia una coscienza infermieristica che aiuta a sradicare la morbosità dominante e a revocare i suoi cinici gestori.
b) Pur dando prova, in certi ambiti, di un’efficacia incontestabile, il progresso della medicina ha gettato il discredito su un uso delle piante qualificato di “rimedio da buone donne”, definizione che la dice lunga sullo spirito patriarcale della medicina convenzionale. La flora è stata saccheggiata, brevettata, adulterata, venduta a popolazioni che ne disponevano gratuitamente ed erano in grado di migliorarne le virtù. Sta a noi di impedirne la spoliazione da parte di una scienza senza coscienza e di vegliare affinché la fitoterapia non finisca nel mercato alternativo, pronto a recuperarla con la stessa logica commerciale.
c) La nocività del confinamento, del ripiego su di sé, del panico di una morte programmata ha mostrato a contrario la virtù terapeutica della gioia di essere insieme, d’incontrarsi, di toccarsi senza “gesti barriera”. La paura di vivere ha sempre galvanizzato l’attrazione della morte. Il Nazismo e lo Stalinismo lo hanno dimostrato. Chi non festeggia il piacere di esistere festeggia la carogna. Quel che mobilita oggi gli insorti planetari è la lotta senza pietà del partito preso del vivere contro il partito della morte. È questo partito della morte che la civiltà mercantile irreggimenta autodistruggendosi al volo.
13.
Per un’autodifesa alimentare
La falsa garanzia di nutrire le popolazioni del globo non dissimula più il vero scopo dei monopoli agroalimentari, che è quello di promuovere per tutti un cibo infetto a fini di lucro. Chi potrebbe credere alla filantropia di gruppi che si arricchiscono alterando la salute dei consumatori? Non si vedono forse lo Stato e i suoi finanziatori sovranazionali accordare ai pesticidi e ad altre nocività la libertà commerciale di inquinare il pianeta? Vittime di un indebitamento crescente, numerosi contadini si ritrovano contemporaneamente avvelenati e avvelenatori. Smettiamo di farne dei capri espiatori e dei pedoni sulla scacchiera elettorale. La questione che si pone è: come venire in aiuto a quanti si orientano verso la permacultura o un’altra forma di agricoltura rigenerata? Siete stanchi del discorso astratto? Volete del concreto? Ecco la chiave di volta di tutte le belle intenzioni ecologiste.
14.
Per un’autodifesa scolare e culturale
Al contrario della scuola militarizzata che imperversa ancora oggi, desideriamo promuovere un insegnamento per tutte le età. Agora, piazza pubblica, casa del popolo, centro comunale sono i giardini di un sapere prodigato da quella passione maggiore e inestinguibile che è la curiosità. L’apprendimento ludico del “vivere insieme” mostra di escludere competizione, predazione, colpevolezza, settarismo. Riscoprire la gioia di vivere creando un ambiente che la favorisca, fortifica poco a poco quell’autonomia che ci protegge liberandoci della protezione altrui. È un’arte difficile che esige una tutt’altra forma d’intelligenza che la furbizia e la forza richieste dalla guerra finanziaria e dalle rivalità di potere. L’intelligenza sensibile è l’intelligenza del vivente; essa prevale sempre su quella del portafoglio.
a) Il gregarismo finisce dove l’individuo si libera dell’individualismo. La creatività mostrata dalle insurrezioni dei nostri tempi annuncia la fine della folla imbecille e volubile. Il calcolo egoista inaridisce il pensiero. L’aiuto reciproco lo rivivifica.
b) La qualità predomina sul numero. Quest’affermazione di un gilet jaune di una quindicina di anni intesa durante una manifestazione, fa pensare, per la sua acutezza, che l’intelligenza sensibile e gioiosa di qualcuno basterà a sgonfiare la bolla smisuratamente gonfiata dei pregiudizi millenari.
c) L’intelligenza sensibile è quella dell’essere. Essa soppianterà la gestione intellettuale dell’avere. Impoverimento oblige!
15.
Per un’autodifesa energetica
Il capitalismo industriale aveva favorito nel suo sviluppo il fiorire d’invenzioni nuove (elettricità, macchina a vapore, ferrovia). Quel che sussisteva di ricerca indipendente è ormai sottomesso al controllo accresciuto degli interessi mercantili che gestiscono i bilanci. Il capitalismo finanziario produce un vuoto della scienza e della coscienza. Questo vuoto beante “di cui la natura ha orrore”, rivela altre vie possibili, incoraggia l’esplorazione di un sapere unito alla vita e non più alla sopravvivenza com’è stato finora. Fisica, biologia, arte, medicina sono in cerca di una rifondazione radicale. Mentre, sotto lo choc del coronavirus, gli ambienti scientifici si sono discreditati per la loro incompetenza, le loro menzogne e la loro arroganza, la curiosità e il gusto della ricerca sono in cerca di un nuovo dinamismo. Marginalizzati dalle lobby scientifiche, numerosi investigatori aspirano alla libertà di pescare nella vita inesplorata di che migliorare la nostra esistenza quotidiana e il suo ambiente.
a) Appartiene alle collettività locali e regionali sostenere i progetti che contribuiscono alla gratuità dell’elettricità e del riscaldamento. Solo l’ingegnosità e l’ostinazione permetteranno di spodestare l’egemonia delle mafie verde-dollaro sulle energie rinnovabili.
b) Lo stesso vale per l’autorganizzazione della mobilità che esige la messa a punto di trasporti non inquinanti e gratuiti. Non tocca forse alle collettività locali il compito di reinventare quel che lo Stato e le mafie petrolifere hanno distrutto?
c) Non c’è nessun bisogno di visioni apocalittiche per capire che siamo al cuore di una mutazione di civiltà. Se tutto cambia base, ciò significa anche che le decisioni da prendere in materia di ambiente dipendono esclusivamente dalle assemblee comunali e regionali, infischiandosi di referendum patrocinati dallo Stato inquinatore.
16.
Per un’autodifesa monetaria
La maggior parte degli economisti conviene che la gestione mondialista del profitto prepara la soppressione del contante a vantaggio di carte bancarie che comportano in premio il profilo poliziesco del loro utilizzatore.
a) Mentre milioni di cittadini si troveranno nell’impossibilità di pagare tasse e imposte (destinate ad arricchire i ricchi), un’iniziativa si diffonde: la creazione di banche cooperative locali, con una moneta non capitalizzabile il cui valore di scambio serve, a circuito chiuso, a retribuire i commerci locali, a sovvenzionare le imprese di utilità pubblica, a sostenere i progetti d’indipendenza energetica, a facilitare l’emergenza di un’agricoltura rigenerata.
b) Una tale misura ha il vantaggio di assicurare il predominio del valore d’uso sul valore di scambio, di annunciare cioè la fine della merce.
17.
È compito delle assemblee di democrazia diretta
spingere dal basso il deperimento dello Stato che marcisce dall’alto
a) Lo Stato non è più che uno strumento manipolato dalle imprese multinazionali che, con o senza l”ausilio dell’Europa, gli impongono le loro leggi e le loro giurisdizioni. La repressione poliziesca è la sola funzione che gli incombe ancora.
b) Il giacobinismo, tradizionalmente incaricato di assoggettare la provincia a Parigi, subisce in pieno la politica incoerente di un governo che non governa più e fa del termine élite il sinonimo di imbecille. Il pericolo è di vedergli succedere dei regionalismi che non farebbero altro che aggiungere altri Stati allo Stato nazionale.
c) Il parlamentarismo maschera sempre meno il ridicolo odioso di una dittatura che ha conservato della democrazia solo il nome di battesimo. Le elezioni sono sempre state le arene in cui la iattanza degli eletti sollecitava la stupidità degli elettori, persuasi di essere rappresentati da loro. Tuttavia, l’incapacità, la menzogna, la corruzione dei politici – tutti i partiti e le fazioni in blocco – hanno toccato un tale livello di cinismo che la probabilità di un’astensione massiccia cresce pericolosamente. Al punto che gli organi di governo differirebbero, vuoi annullerebbero volentieri la buffonata elettorale. Non fosse altro che nella speranza di suscitare un nuovo interesse in suo favore.
d) Il voto e la democrazia diretta prendono tutto il loro senso ogni volta che una collettività locale è chiamata a pronunciarsi su un problema che la riguarda direttamente. La verità del terreno svela la menzogna che scende dall’alto ricusando le statistiche che s’infischiano delle realtà vissute. Quelle e quelli che sono sul luogo della loro esistenza non sono forse i più adatti a giudicare se un decreto che li riguarda è iniquo o nocivo? Chi è più qualificato di loro per decidere dei modi per combatterlo?
e) Da difensore della Repubblica che pretende di essere, lo Stato è giunto a proteggersi dai cittadini ai quali ha strappato i diritti di cui era il garante. La sua rovina lo costringe a convertire in milizia privata una polizia di cui una parte riprova gli attacchi ai Diritti dell’Uomo. Sonaglio del capitalismo finanziario, lo Stato regna senza governare. Non è più niente. La sua incapacità suona per noi l’ora di essere tutto.
18.
Per una repubblica autogestionaria che abroga la repubblica parlamentare e affarista
L’epoca in cui tentiamo di vivere tra le rovine è quella di una mutazione i cui terremoti scuotono il mondo intero: la vecchia civiltà non finisce più di agonizzare, la nuova tarda a fiorire come fosse timorosa della propria audacia.
a) La parodia di una guerra civile tra conservatorismo e progressismo fa parte di una messa in scena che dissimula la vera guerra, quella di distruzione massiva intrapresa dal capitalismo. Mentre si affrontano retro bolscevismo e retro fascismo, le mafie mondialiste avvelenano e inquinano impunemente città e villaggi. Comuni, quartieri, regioni aspiranti a una maggiore umanità restano isolati e senza voce, mentre la rabbia impotente e l’indignazione compulsiva si sfogano in provocazioni da matamori e in incendi di spazzatura.
b) Lo Stato e i suoi mandanti fanno predominare i loro interessi disprezzando i nostri. A noi di preoccuparci della nostra sorte. Il senso umano è la nostra legittimità.
c) La nostra lotta è inseparabilmente esistenziale e sociale. Essa non nega le scelte personali religiose o ideologiche, essa è l’aiuto reciproco che supera queste scelte e detiene l’arte di armonizzarle. Nella lotta della disobbedienza civile chi si preoccupa del colore della pelle, del sesso, delle credenze?
d) Il popolo che prende direttamente le decisioni che lo riguardano, lui e il suo ambiente, s’iscrive nel filone dell’esperienza autogestionaria condotta dalle collettività libertarie spagnole del 1936. Gli zapatisti del Chiapas, gli insorti del Rojava, la tendenza più radicale del movimento dei Gilet jaunes in Francia se ne ispirano oggi unanimemente, a dispetto di una grande diversità di condizioni storiche, politiche e geografiche. La comparsa di piccole società che cercano di autogestirsi e di federarsi di comuni in regioni, espone evidentemente al rischio di errori, confusioni, alla “chienlit”, come dicono gli scarafaggi di Stato. Tuttavia, dove non ci sono morti né colpe, tutto si corregge. Che cosa rischiamo nello sperimentare delle società del vivere insieme quando in permanenza serviamo da cavie nei laboratori della disumanizzazione e del profitto?
19.
L’emergenza di microsocietà che vanno oltre l’autorità statale permette una coesistenza con le istanze dirigenti?
a) Il dialogo con lo Stato non esiste più. Nessuna recriminazione del popolo è stata ascoltata se non a colpi di manganello. Eppure, nonostante la rottura effettiva – e senza neppure sperare che le manifestazioni ottengano la ritrattazione di decreti iniqui – è bene sottomettere lo Stato a un assillo continuo. Ricordare il loro parassitismo agli organi di governo guadagnerà pertinenza quando le microsocietà che fanno risuonare nelle piazze le grida della libertà, opporranno ai diktat del totalitarismo democratico la legittimità di decreti votati dalle loro assemblee di democrazia diretta.
b) La collera e la resistenza di un numero crescente di sindaci di villaggi e di quartieri urbani sottolineano la linea di demarcazione esistenziale e sociale che separa in ciascuno di loro il funzionario di Stato e il garante del bene pubblico degli amministrati. Lo strappo sempre più profondo tra interessi privati e bene pubblico è di natura da associare alle assemblee di democrazia diretta numerosi cittadini destabilizzati dall’impoverimento, dalla tirannia dei divieti, dalle tasse da pagare (piccole imprese, contadini, avvocati, insegnanti,medici, commercianti, artigiani, albergatori, ristoratori, poliziotti di prossimità schifati dal ruolo che lo Stato oligarchico assegna loro). Al sindaco il compito di resistere alle minacce e alle pressioni statali e mafiose, a lui di prendere in conto gli interessi della popolazione, diventare un interlocutore eventuale tra l’Assemblea e lo Stato. Questo movimento altalenante è altrettanto importante (se non di più) della rivolta di una parte della polizia che passasse dalla parte del popolo insorto con la certezza di esercitare un servizio pubblico che soltanto il prevalere dell’essere umano sull’uomo predatore potrà abolire.
c) Un collettivo autogestionario che si sforzasse di evitare uno scontro con lo Stato e con il suprematismo economico, avrebbe il merito di evitare una violenza che ripugna alla maggior parte dei cittadini, anche se la maggioranza silenziosa è un grande urlo di odio. Tuttavia, chi potrebbe negare che la violenza è, in tutta evidenza, indispensabile a un potere che deve la sua sopravvivenza alla repressione? Come lo lascia presagire lo sbriciolamento della ZAD di Notre Dame des Landes, l’apparizione di microsocietà emancipate dalla tirannia statale e mercantile susciterà un intervento militare del governo francese, con l’appoggio di un’estrema destra di cui lo Stato non cessa di confortare le speranze dittatoriali con il pretesto di combatterle.
20.
Per una guerriglia demilitarizzata
L’insurrezione planetaria in corso emana dalla vita quotidiana di donne, uomini, bambini. Il fenomeno non è nuovo, quel che è nuovo è la presa di coscienza che la propaga. Le sue rivendicazioni vanno ben oltre la soddisfazione consumistica. La sua poesia rifugge la borsa della spesa della casalinga prima ancora che sia svuotata dall’impoverimento.
a) L’insurrezione della vita quotidiana offre una sorprendente singolarità. È un’insurrezione pacifica nel senso che vuole superare la lotta tradizionale tra pacifismo riformista e rivoluzione barricadiera. Nel senso che spezza questa trappola binaria – del pro e del contro, del bene e del male – che ha bisogno per funzionare del terreno minato e militarizzato dove il potere regna.
b) La vita è un’arma che assilla senza uccidere. Il nemico non perde un’occasione per spingerci su un terreno che conosce perfettamente perché ne possiede il controllo militare. Ignora, invece, tutto della passione di vivere che rinasce senza sosta, abbandona un territorio devastato, se ne riappropria, moltiplica le occupazioni di zone da difendere, sparisce e riappare come il gatto del Cheshire. È incapace di capire che la lotta della vita per l’essere dissolve l’avere e revoca l’ordine della miseria. La nostra guerriglia è senza fine. All’opposto della lotta per l’avere che non sopravvive al deperimento dell’essere che essa provoca. La cupidigia è un soffocamento.
c) “Non distruggere mai un essere umano e non smettere mai di distruggere quel che lo disumanizza” è un principio di lotta che ha il merito di prendersela con un sistema di oppressione e non con quelli che se ne credono il motore e non ne sono che gli ingranaggi. Sabotare l’impiantarsi di una nocività non vuol dire uccidere quelli che ne sono responsabili.
d) Il tempo è con noi. L’insurrezione della vita quotidiana comincia appena a dare prova della sua creatività e della sua capacità di rinascere senza sosta. Sarebbe meglio preoccuparsi non di fare più presto, ma di andare più lontano.
e) Raccogliere in Assemblee i frammenti di una Costituzione da e per il popolo apporterà il peso della legittimità al rifiuto dei decreti liberticidi che il totalitarismo democratico c’impone. Mettendoci di fronte al loro fatto compiuto, gli organi di governo ci sfidano dall’alto a opporre il nostro fatto al loro. Ebbene, non è affar nostro accettare una sfida che non farebbe altro che condurci sul terreno del nemico. Il nostro messaggio è chiaro: il diritto di vivere passa sopra le ordinanze del denaro che uccide.
f) L’importante non è il numero degli insorti ma la qualità delle rivendicazioni. L’autonomia degli individui è la base dell’autogestione.
Essa emancipa dall’individualismo che presta una libertà fittizia alle pecore della servitù volontaria. L’autonomia insegna a distinguere il militantismo dal militarismo. L’impegno appassionato non va confuso con il sacrificio. La lotta per la libertà rifiuta gli ordini. La fiducia e il mandato che la solidarietà le accorda, sono sufficienti.
g) L’autonomia individuale dispone di una potenza di assillo inestinguibile. La pelle del Leviatano non smettendo di distendersi diventa vulnerabile alle punture di zanzara.
21.
L’autodifesa ambientale è un’autodifesa della gioia di vivere
Che quelle e quelli che trovano questa formula astratta o priva di senso si riferiscano alla loro stessa esistenza quotidiana e all’ambiente che la condiziona. Non è forse questo il terreno in cui si contorcono e chiedono aiuto i loro problemi psicologici, familiari, sociali?
a) L’idea che si aumenti la propria felicità favorendo quella degli altri ha l’occasione di concretizzarsi aprendo dei centri di accoglienza per quelle e quelli che subiscono nel quotidiano un’oppressione burocratica, economica, familiare, sessista o razzista.
b) L’aiuto reciproco può riuscire perfino a risolvere il problema dei migranti. Sotto la glaciazione statistica che li riduce a oggetti, ci sono degli esseri umani in difficoltà che un gran numero di comuni avrebbe la possibilità di accogliere in piccole quantità, con l’assentimento della popolazione locale.
c) È ben il minimo che la generosità umana solidale con i più deboli implichi tra chi accoglie e chi è accolto un riconoscimento assoluto dei diritti della donna e delle libertà dell’omosessualità. Non è tollerabile che comunitarismo, multiculturalismo o tradizione autorizzino dei comportamenti predatori che cerchiamo di sradicare da un secolo.
d) In un universo sempre più in preda alla bruttura del denaro e del calcolo egoista, il ritorno alla bellezza, all’amicizia, all’amore, alla generosità, all’aiuto reciproco propaga una sovversione che rende ridicolo il ritornello delle buone intenzioni morali e caritative. Il senso umano se la ride dell’umanitarismo, come la vita autentica delle messe in scena che la falsificano.
e) Il consumismo ha dimostrato che un piacere comprato è un piacere sprecato. Spegnendo il neon dei supermercati, l’impoverimento si accende di luci meno ingannevoli. Annunciando il crollo dell’inutilità redditizia, esso lascia alla penuria in arrivo il tempo di rigenerare la terra, di ritrovare un cibo sano e delle delizie che non siano più adulterate. Così come il coronavirus ci ha insegnato a rinforzare meglio la nostra immunità, il fallimento economico ci ingiunge di ricorrere alle nostre risorse creative. Il “do it yourself” fotte il self made man che l’affarismo aveva esaltato come il suo eroe.
f) La protezione degli animali, della vegetazione, dei paesaggi, della natura ha smesso di essere un pastello venduto sul mercato ecologico. Per quanto utile sia e pur andando oltre la compassione, l’aiuto tutelare alla terra e alle sue specie ha l’inconveniente di essere un imperativo. Esso cede ora il posto a un sentimento fusionale con il vivente. La coscienza di una “vita profonda” ravviva in noi gli elementi minerali, vegetali, animali che la superficialità della sopravvivenza percepiva come stratificazioni morte. In tal modo si compie, senza dubbio, il più grande passo dell’Uomo verso la sua umanità.
g) Il richiamo della totalità ha sempre risuonato nel cuore del nostro destino. Il mondo nuovo si abbozza nello stupore che i bambini insegnano a chi riscopre la propria infanzia. C’è donato d’imparare a rinascere nella rinascita del mondo.
Raoul Vaneigem, 21 dicembre 2020