Che la paura cambi campo – Comunicato di solidarietà all’Asilo Occupato
Come anarchiche e anarchici dell’assemblea del circolo “C. Berneri” vogliamo esprimere innanzitutto la nostra solidarietà alle arrestate e agli arrestati nel corso delle operazioni repressive che hanno portato allo sgombero violento dell’Asilo Occupato di Torino.
I fatti. La mattina del 7 febbraio a Torino, con un vasto dispiegamento di mezzi e personale, le forze dell’ordine hanno circondato e fatto irruzione violentemente negli stabili dell’Asilo Occupato in via Alessandria, quartiere Aurora. Cinque compagn@ sono allora riusciti a barricarsi sul tetto, resistendo per più di un giorno alla morsa della polizia. Nel mentre, un intero quartiere è stato militarizzato, trasformato in “zona rossa”, con blindati ovunque e controlli a tappeto da parte delle forze dell’ordine nei confronti di passanti. Chi tenta di accedere al quartiere in solidarietà viene represso duramente.
Allo stesso tempo, la Procura di Torino ha fatto scattare l’operazione “Scintilla” per la quale una trentina di militanti si trovano indagati con l’accusa di “Associazione sovversiva” per avere, a detta degli inquirenti, organizzato una campagna contro i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), luoghi di detenzione analoghi ai vecchi CIE o CPT, dove i migranti vengono rinchiusi in attesa di essere espulsi. Sono 6 compagn@ arrestat@ nell’operazione che, mentre scriviamo, si trovano ancora in carcere: Silvia, Antonio, Larry, Beppe, Giada e Nicco, cui va la nostra solidarietà. L’Asilo, per le autorità, sarebbe un “covo sovversivo” mentre chi è agli arresti è definito “prigioniero”.
La risposta della città di Torino non si fa attendere: sabato 9 febbraio migliaia di persone scendono in piazza contro gli arresti e per manifestare la propria solidarietà a un’esperienza come l’Asilo occupato, risalente al 1992. Il corteo viene caricato più volte, resistendo con barricate improvvisate: alla fine, 11 sono le persone fermate, poi rilasciate nei giorni successivi, alcune con obbligo di firma altre con un foglio di via dalla città. Nelle giornate a venire, la repressione è continua contro presidi e manifestazioni di solidarietà, mentre il quartiere Aurora rimane militarizzato.
L’eco. Nei giorni successivi, i toni con cui si è parlato della vicenda da parte di media, istituzioni e politica ha raggiunto livelli che vanno ben oltre le “consuete” dichiarazioni forcaiole. Ai soliti distinguo irricevibili tra “buoni e cattivi”, appelli alla legalità, accuse agli anarchici di terrorizzare il quartiere – con la sindaca sedicente antifascista Appendino in prima fila – si sono susseguite esternazioni inneggianti alla tortura – è il caso di un capogruppo leghista che ha evocato la mattanza alla scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001 – e richiami a un linguaggio bellico – il questore di Torino riferendosi ai fermati durante il corteo ha detto «sono prigionieri, non arrestati.» Un linguaggio che mira a costruire un nemico interno, l’anarchic@, sovversiv@, dipint@ come estrane@ al quartiere e alla città: una follia, se pensiamo che, come dimostrano le continue manifestazioni di solidarietà nel quartiere, la presenza dell’Asilo è stata fondamentale nel costruire una rete sociale di opposizione alla speculazione. I media parlano di persone “impaurite” per la presenza dell’Asilo, il questore di controllo “militare” del territorio, quando retate e arresti nel nome della lotta al “degrado” e all’immigrazione “clandestina” sono operate dalle forze di polizia.
Quando succede a Torino ci sembra, pur nella sua eccezionalità, la cifra dei tempi, la rappresentazione plastica della realtà che viviamo quotidianamente.
Il terrore. La paura. Il rancore. Sentimenti sempre più dilaganti nei confronti di chi è diverso tanto più l’impoverimento economico, sociale e culturale si diffonde nella società. La complessità del reale, fatta di sfruttamento e di un aumento della segmentazione economica e sociale che fa seguito al processo di ristrutturazione neoliberale di questi anni, è difficile da comprendere e produce un malessere sociale che viene governato dagli Stati – a gradi differenti a seconda dei partiti al potere – invocando maggiore “sicurezza”. Ciò si traduce in un governo autoritario, uno stato di polizia, in cui il dissenso viene costantemente attaccato, represso, silenziato. Un clima soffocante, dove ai colpi sempre più pesanti di quell’economia dello sfruttamento continuo che è il sistema neoliberale, si vuole rispondere col nazionalismo e il sovranismo, facendo appello a un presunto “popolo”. Secondo questo discorso, se non si sta con il “popolo”, allora si sta con le “élite”, i “tecnocrati”, schiacciando la critica allo stato di cose esistente e al capitalismo sulla presunta opposizione tra stato-nazione e organismi sovranazionali.
La solidarietà e la rivolta. Siamo sovversive, siamo sovversivi. Non siamo dalla parte di chi invoca più leggi, più autorità, più restrizioni delle libertà, di chi costruisce muri, di chi minaccia, attacca, imprigiona tutt@ coloro che vengono ritenut@ differenti dalla norma. Non siamo neppure dalla parte di chi intende la libertà unicamente come libertà di sfruttare, libertà di consumare, libertà di produrre.
Quando vediamo la violenza, sappiamo riconoscerla: violenza non è bruciare un cassonetto, né rompere una vetrina. Violenza è mettere in galera qualcuno la cui colpa è quella di essere straniero e senza documenti. Violenza è reprimere ogni forma di dissenso. Violenza è lo sfruttamento quotidiano, l’impoverimento generalizzato.
A questa violenza quotidiana, all’isolamento, opponiamo le pratiche della solidarietà e dell’autogestione. In un momento in cui l’attacco a ogni forma di dissenso è sempre più feroce, dobbiamo riconoscerci e unirci. Non siamo soli.
Pensiamo che il cambiamento dell’esistente passi dalla costruzione di reti sociali solidali, orizzontali, non autoritarie, che abbraccino ogni ambito della nostra vita. Sappiamo che questo cambiamento viene ogni giorno ostacolato e attaccato e siamo quindi consapevoli della necessità della rivolta.
Sappiamo, quindi, da che parte stare.
Solidarietà all’Asilo Occupato
Libertà per Silvia, Antonio, Larry, Beppe, Giada e Nicco