Con xm24 per la liberazione degli spazi pubblici

Il Tribunale di Bologna, accogliendo la richiesta inviata il 2 dicembre dal procuratore capo Giuseppe Amato, ha emesso un decreto di “sequestro preventivo” per l’ex caserma Sani, usata dal 15 novembre scorso, dalle realtà dell’Xm24, che dopo lo sgombero agostano erano senza spazi. Il gip ha disponendo il sequestro perché “il diritto di associarsi liberamente, costituzionalmente garantito, non implica, evidentemente, il diritto di occupare immobili altrui, a proprio piacimento, in spregio del diritto di proprietà, anch’esso costituzionalmente garantito”.
“La proprietà è sacra” dice il giudice, noi ribadiamo che la proprietà è un furto. Lo è perché, come ci ha insegnato Proudhon, la proprietà è “il diritto di ricavare un frutto da un bene realizzato dal lavoro altrui”, è il diritto, meglio l’abuso, il dispotismo, di possedere un bene senza farne direttamente uso – anzi escludendo il possibile uso che possano farne gli altri – e di impossessarsi della ricchezza prodotta dai lavoratori “spogliati” dell’uso del bene.
In questo caso, come in tanti altri esempi di eliminazione dell’uso di beni pubblici, questo concetto di “furto” diviene esplicito. I beni presi in uso, infatti, sono immobili che erano “opere destinate alla difesa nazionale” (caserme militari) e pertanto facevano parte del demanio pubblico: abbandonati per strategie militari differenti, sono rimasti per tanti anni completamente chiusi al pubblico e alla sua possibile fruizione. Si iniziano a vedere i risultati dell’abbandono nel conseguente degrado per la mancanza di cura. “L’occupazione” fatta dall’ex XM24, che da agosto attendeva un locale dal Comune, ha riaperto questi luoghi prendendosene cura e liberandoli a decine di iniziative autogestite, ridando al quartiere la possibilità di ricreare comunità. Cosa che indubbiamente rappresenta una continuità con la destinazione di bene pubblico di questi spazi.
La politica statale e comunale in merito a questi beni pubblici è invece quella chiaramente espressa dal giudice, cioè quella della proprietà, che significa semplicemente sottrarli all’uso pubblico e darli in pasto alla speculazione immobiliare e finanziaria per favorire l’arricchimento di qualcuno. La logica della privatizzazione, che non è una novità dell’attuale politica neoliberista, ha sempre rappresentato un voler dare benefici a qualcuno, con la scusa che l’amministrazione pubblica non è in grado di gestire. Che lo sfacelo degli interventi statalisti sull’economia e sul territorio sia una realtà, tutti se ne stanno accorgendo: il crollo dei ponti e dei viadotti, di cui si è testimoni in questi ultimi anni, non è che la dimostrazione del fallimento di una logica di intervento cieco verso il territorio e la società. Ma non si tratta della sola “gestione pubblica”: il modello che sta crollando, assieme ai ponti, è quello delle grandi opere, dell’economia capitalistica e statalista nel suo complesso.
Così “gli occupanti” rispondono al giudice: “Dieci ettari di verde urbano non sono una risorsa da svendere per far cassa in cambio di poche compensazioni: dopo decenni, per la prima volta, Bologna si può rendere conto di cosa si nasconda dietro quelle mura, di cosa la stiano privando e derubando quando l’amministrazione dice che ‘in Bolognina gli spazi pubblici non ci sono’ e i giudici parlano di ‘interessi asseritamente ritenuti prevalenti’. Aspetteremo qui, costruendo la resistenza contro il Nulla che avanza da dentro le mura dell’ex-caserma. L’Altra Città non ha paura: le meravigliose energie esplose con l’apertura dei cancelli di un’area abbandonata stanno creando un futuro possibile e realmente aperto alla città, un presidio sociale, culturale politico ed ecologico che sta già accogliendo e raccogliendo il bisogno di aria e spazi per incontrarsi”.
Facendo propri questi intenti, ribadiamo che è possibile un altro uso dei beni che non sia quello statalista e proprietario: usare è più importante che possedere. L’urgenza di riaffermare tutte le ragioni della nostra vita, ora, è determinata dallo sfacelo che lo Stato e il suo capitalismo stanno producendo non solo nel territorio, nell’ambiente, ma anche in ognuno di noi, nella nostra vita. È il momento, cioè, di affermare i principi di un’altra vita che faccia a meno della proprietà e dello Stato, perché possa essere vissuta pienamente.