A cento anni dalla rivoluzione bolscevica – Gli anarchici lo avevano visto con chiarezza

Nelle pubblicazioni speciali, nei convegni e nelle iniziative tanto mainstream quanto “antagoniste” che si stanno tenendo in occasione dei cento anni della Rivoluzione russa (meglio bolscevica), c’è un grande assente: l’anarchismo. 
Non vi è cioè riferimento al fatto che l’anarchismo abbia sviluppato una critica ai risvolti autoritari della Rivoluzione russa, sapendo prevederne in anticipo con ragioni peculiari l’esito dittatoriale, ben prima di altra sinistra. La peculiarità degli anarchici fu invece proprio quella di percepire con straordinario anticipo i rischi di involuzione in senso dittatoriale della Rivoluzione bolscevica, in quanto caso concreto di una rivoluzione che intende farsi Stato.
Il tema ha un’evidente importanza politica e ha anche assunto da tempo rilievo anche in sede storiografica, tanto che l’1-2 dicembre 2017 l’Archivio famiglia Berneri e la biblioteca Panizzi organizzano due giorni di studio su anarchici e Rivoluzione russa presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Eppure i più continuano, coscientemente o meno, a tacere su tutto ciò.  
Se gli anarchici sono fautori di una necessaria rivoluzione sociale in terra di Russia, sono anche i primi a criticare apertamente i bolscevichi. Nell’autunno del 1917 giudicano in senso positivo la presa del Palazzo d’Inverno in quanto fattore della trasformazione sociale delle istituzioni russe, che i rivoluzionari di tutte le tendenze stanno mettendo in atto sotto lo slogan: il potere ai soviet. E difendono la rivoluzione mobilitandosi contro quelle forze reazionarie che intendono strangolarla. Tuttavia già dal 1918-19 (!) danno voce alle preoccupazioni per l’inevitabile scivolamento di una rivoluzione che voglia farsi governo: i loro compagni di idee russi avevano subito una prima ondata di repressione nella primavera del 1918.
Il giornale “L’Avvenire Anarchico” di Pisa definisce Lenin un dittatore (1919), mentre Luigi Fabbri ed Errico Malatesta sul periodico “Volontà” di Ancona scrivono pagine di grande chiarezza, delineando i caratteri accentratori del potere bolscevico. Malatesta afferma che la dittatura del proletariato è in realtà “la dittatura di un partito, o piuttosto dei capi di un partito – e aggiunge – Lenin, Trotski e compagni sono di sicuro dei rivoluzionari sinceri, così come essi intendono la rivoluzione, e non tradiranno; ma essi preparano i quadri governativi che serviranno a quelli che verranno dopo per profittare della rivoluzione ed ucciderla. È la storia che si ripete: mutatis mutandis, è la dittatura di Robespierre che porta Robespierre alla ghigliottina e prepara la via a Napoleone”. Tali giudizi diventano patrimonio comune del movimento anarchico internazionale nel 1921, quando il governo bolscevico scatena la sua violenza contro il movimento d’ispirazione libertaria guidato da Machno in Ucraina e reprime nel sangue l’insurrezione della base navale di Kronštadt. Qui i marinai e gli operai, in prima fila negli eventi rivoluzionari del 1917, reclamano il ripristino delle libertà politiche e la sostituzione dei soviet egemonizzati dai bolscevichi con soviet rappresentativi degli interessi dei lavoratori. Lenin giustificherà la repressione di massa e le fucilazioni indiscriminate come inevitabili per respingere un tentativo controrivoluzionario, la storia dimostrerà invece che quello era un atto per realizzare le istanze di base tradite dal bolscevismo.
Nel 1922 una nota anarchica, Emma Goldman, che è in Russia nel 1920 e 1921, scrive: “Gli orrori nascosti della Russia mi apparivano ogni giorno più evidenti… benché il bolscevismo mi apparisse oramai in tutte la sua nudità, non riuscivo a crederci. Ero sbalordita, sconcertata, mi mancava la terra sotto i piedi. E mi ci attaccavo, mi ci attaccavo come un uomo che sta annegando si aggrappa a qualunque corda” (M. Leroy, Emma la rossa, elèuthera, Milano, 2016, p. 137). Emma in quell’anno dà alla stampe un libro, La sconfitta della rivoluzione russa e le sue cause, in cui denuncia a chiare lettere l’involuzione autoritaria dei bolscevichi. È un’ulteriore e importante tappa della critica anarchica al bolscevismo. Alla morte di Lenin, Malatesta scrive: “egli, sia pure con le migliori intenzioni, fu un tiranno, fu lo strangolatore della Rivoluzione russa – e noi che non potemmo amarlo vivo, non possiamo piangerlo morto. Lenin è morto. Viva la libertà!” (“Pensiero e Volontà”,  febbraio 1924). Che altro? Per approfondire, rimandiamo al recente e agile volume di F. Bertolucci, A oriente sorge il sole dell’avvenire. Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa 1917-1922 (BFS, Pisa, 2017).